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Testimonianza | da Musulmano a Cristiano


Mi chiamo Mohammed e sono originario del Ghana.

Sono nato e cresciuto in una famiglia musulmana. Da musulmano ho vissuto una vita infelice: fin dall’età di 8 anni mi sentivo insoddisfatto ed ero perennemente alla ricerca della felicità. 

Ero un ragazzo tranquillo e vivevo una vita non molto diversa da quella dei miei coetanei; cresciuto in una famiglia bellissima che amavo ed i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare nulla, eppure, qualsiasi cosa io facessi, vivevo in costante stato di insoddisfazione e non ne riuscivo a capire il motivo. 

La mia infelicità era visibile anche a chi mi circondava e nonostante mi impegnassi a nasconderla non potevo riuscirci, molti la notavano.


La devozione all'Islam e la ricerca insoddisfatta

Ero molto fiero della mia religione, per me l’Islam era la migliore religione esistente, semplicemente perfetta e, ai miei occhi, praticarla mi sembrava fosse l’unico modo per essere libero. 

La mia famiglia era musulmana e credevo che anch’io lo sarei stato per tutta la vita, fino alla morte. 

Il mio destino era segnato. In me c’era anche il desiderio di essere come tutti gli altri e questo mi portava ad impegnarmi come loro a seguire l’Islam, ad osservare tutte le pratiche religiose e adempiere ai miei doveri da musulmano. 

Cercavo di imparare il Corano e desideravo essere un buon musulmano. Purtroppo, nonostante tutto l’impegno che io impiegassi nell’imparare il Corano, non ci riuscivo. 

Mi sforzavo, ma non vedevo nessun frutto, nessun risultato. Le mie giornate erano frustranti e non riuscivo a trovare dei momenti di soddisfazione personale o di gioia. 

Non riuscivo ad imparare, perché non ero adatto a quelle cose; mi sentivo fuori posto. Nel rapportarmi con la lingua araba avevo serie difficoltà, non essendo la mia lingua natia, ma decisi con determinazione di volerla studiare seriamente, perché tutto ciò che mi insegnavano era in arabo, come anche le preghiere ed il Corano. 

Quando una persona impara il Corano, si addentra in profondità nell’Islam e decide di inoltrarsi sempre di più in esso. 

Quando questo accade, la sua visione del mondo reale cambia, nel senso che si radica così tanto nell’Islam che oltre alla propria religione non esiste più nulla, ogni altra cosa perde di significato e vive solo per quello. 

La convinzione che si crea nella mente è che oltre l’Islam non esista nessun’ altra religione, nel senso che non ne esistano altre di pari valore. 

Inoltre, si cominciano a denigrare le altre realtà, non si dà loro credibilità o fiducia, e si è convinti della superiorità dell’Islam sulle altre religioni. 

Ero quindi arrivato in una fase importante della mia vita in cui desideravo approfondire lo studio della lingua araba e allo stesso tempo ero alla ricerca della verità.

Non mi bastava essere musulmano, perché ero nato in una famiglia musulmana, volevo fare sul serio con Dio.



I primi contatti con il cristianesimo

Nel corso della mia infanzia ero venuto a conoscenza del cristianesimo tramite mia nonna materna, la quale era una credente evangelica e mi parlava sempre di Gesù tutte le volte che andavo a trovarla, ma a casa sentivo parlare solo dell’Islam. 

In realtà i primi contatti con il cristianesimo li ebbi da piccolo, prima di emigrare in Italia: io e mio fratello Yakub andavamo in una scuola ghanese in cui, oltre a studiare, dormivamo all’interno della struttura. 

I cristiani ghanesi che conoscevo non parlavano di Dio. Il direttore della scuola era un pastore evangelico ed ogni domenica mattina eravamo costretti, in quanto frequentanti, ad andare nella chiesa della scuola dove sentivamo la predicazione cristiana. 

Non potevamo uscire dalla scuola e quindi non potevamo andare in moschea, ma questo a mia madre non importava molto perché l’istituto era una buona scuola e lei preferiva che noi crescessimo ben educati.

In quella scuola sentii per la prima volta parlare del Signore, ma il mio cuore era insensibile e non partecipavo attivamente alle riunioni religiose, il mio cuore era musulmano, avevo già la mia religione e non l’avrei abbandonata. 

Senza poter terminare gli studi, improvvisamente, mio padre, nel 2004 ci portò tutti in Italia. 

Lui conosceva già il Paese, perché quando ero ancora un bambino era partito e con il lavoro che aveva trovato riusciva a mantenere mia madre, me e mio fratello in Ghana. 

Nondimeno la distanza era molta e la famiglia aveva bisogno di stare unita, così dovemmo trasferirci in Italia definitivamente. 

Una volta giunto in Italia cominciai ad imparare l’Italiano e non dimenticai gli obbiettivi che mi ero prefissato: avrei imparato il Corano e sarei stato un buon musulmano. 

Ogni volta in cui cercavo di impegnarmi per questo scopo, però, avvertivo un senso di disapprovazione ed una voce dentro di me che diceva: “Questo non è quello che Io ho in serbo per te”.



L'incontro decisivo con Cristo e la riconciliazione familiare

Nel 2008, all’età di 18 anni, conobbi Mariano, un ragazzo con cui giocavo a calcio e con il quale legai subito.

Stavo bene in sua compagnia e le sue parole mi incoraggiavano sempre. 

Un giorno andai a trovare i miei compagni di calcio e tra questi c’era pure lui, che in quell’occasione mi parlò del suo Dio, un Dio che perdona e salva il peccatore.

Anche se gli risposi di non essere interessato ad un'altra religione, mi colpirono le sue parole quando mi disse che la sua non fosse una religione, ma la Verità.

Onestamente avevo paura, poiché ciò che mi impediva di avvicinarmi a Cristo era la paura di essere rifiutato dai miei genitori, specialmente da mio padre.

Per un genitore musulmano vedere il proprio figlio abbandonare l’Islam rappresenta una sconfitta. 

La conseguenza di una tale scelta a volte può essere la morte per mano degli stessi genitori o parenti. 

Dopo un paio di mesi dall’incontro con Mariano, andai a trovare un amico che avevamo in comune. Mariano, che era lì, mi vide sul campo di gioco e, quando mi incontrò, mi invitò a casa sua senza spiegarmene il motivo. 

Appena arrivammo a casa sua, cominciò a parlarmi del Signore. Io non capivo niente dei suoi ragionamenti e non sapevo come rispondere: semplicemente, gli spiegavo che essendo musulmano non potevo lasciare la mia religione per un'altra.

Come mi disse due mesi prima, così mi ripeté: “Non ti dico di lasciare la tua religione, ma di passare dalla religione alla Verità”. 

Queste parole mi colpirono di nuovo molto. Era un venerdì e lui mi invitò ad andare in chiesa la domenica per ascoltare la parola del Signore.

Io accettai la “sfida” ed andai: era il giorno del mio diciannovesimo compleanno. In quella domenica, il mio cuore fu compunto dalla parola predicata, Dio mi aveva toccato e conquistato con il Suo amore trasformandomi completamente in pochi attimi.

Le parole che in particolare mi toccarono furono quelle di Gesù nel Vangelo di Matteo: “Voglio misericordia, e non sacrificio; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori”;

in quell’istante sentii il peso del mio peccato ed in preghiera fui salvato, potevo sentire il Suo perdono e la Sua bontà scendere nella mia vita.

Con mia madre parlai subito, le raccontai ciò che era avvenuto e della mia scelta per Gesù. 

Lei non la prese molto male, anzi mi diede piena libertà di fare la mia scelta, dicendomi che avrei dovuto fare ciò che sentivo in cuore di fare. 

Tuttavia, tenevamo nascosta questa cosa a mio padre. Sei mesi dopo la salvezza, nell’agosto del 2009 realizzai il battesimo nello Spirito Santo.

Una sera ero a casa, nella mia cameretta, e pregavo; mi sentivo così ripieno di Spirito Santo che alzai la voce e mio padre, sentendomi, entrò in camera. 

Rimase in silenzio a guardarmi per alcuni minuti, poi disse: “Ora preghi in lingue? Preghi questo Dio? …Ora vedremo chi è il proprietario di casa”. 

Alle sue parole non risposi nulla. Pregai molto per la situazione che si era venuta a creare; l’atteggiamento di mio padre nei miei confronti era cambiato e non mi rivolse più la parola.

Io rappresentavo una sconfitta ed una vergogna per lui, poiché era come se non fosse riuscito ad insegnarmi correttamente la religione islamica.

Questo, mio padre, non riusciva ad accettarlo. Personalmente non insistetti nel cercare di parlargli, perché il Signore mi faceva sentire che dovevo lasciare fare a Lui, ed effettivamente fu Dio ad operare, sistemando ogni cosa.

Tuttavia, anche se mio padre non mi rivolgeva la parola, vedeva che non ero più lo stesso. Ero felice! 

Tutti se ne accorgevano e non facevano altro che dirmi che mi vedevano diverso, mi vedevano cambiato, e lo ero veramente. 

Una sera mio padre venne da me, dicendomi che voleva parlare. Questo mi spiazzò: pregavo tanto per lui da tre anni senza apparenti risultati. 

Ci sedemmo sul divano e mi disse: “Ho sbagliato a farti tutto quello che ti ho fatto, ad ostacolarti, a non farti fare quello che sentivi di fare." 

Pensavo che tu stessi sbagliando, ma ti vedo felice, ti vedo sorridente e molto determinato a perseguire questa strada. 

Se è questo quello che vuoi fare, fallo. In fondo sei sempre mio figlio e non posso impedirti di fare ciò che ti rende felice”.


Articolo scritto da: Mohammed Adams
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